Articolo di "Gazzetta di Parma" del 14 Maggio 2022
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Tre anni di lavoro per arrivare ad una conclusione sconfortante. «Tutti gli scenari di rigenerazione urbana ipotizzati hanno dato rendimenti negativi. L'unico modo per migliorare la situazione, e rendere questi rendimenti positivi, è con l'applicazione delle indicazioni contenute nel Decalogo». Quindi la soluzione c'è, ma il Decalogo che Ance ha scritto non è ancora stato fatto proprio dalle norme nazionali. Risultato: investire in un progetto di rigenerazione urbana a Parma - ma lo stesso potrebbe valere in decine di altre città di medie dimensioni - è un'iniziativa in perdita. Della serie, addio investitori, «Progetto Parma» è un «esempio cavia», spiega Paolo Giandebiaggi, architetto e professore universitario, in qualità di referente dell'esperimento affidato tre anni fa dall'Ance all'Università. L'obiettivo: scoprire se, con le norme attuali, demolire e ricostruire uno spicchio di Parma potesse essere un'attività che genera utili per l'investitore. La risposta a cui è arrivato Giandebiaggi, che ha coordinato una squadra composta da architetti, urbanisti, economisti e giuristi, è «no». L'area presa in esame da «Progetto Parma» è un rettangolo compreso tra via Savani, via Boccaccio, via Baratta e via Barilli, scelto adottando un metodo oggettivo. Partendo cioè dalla montagna di dati in possesso del laboratorio universitario sulle città sostenibili, per definire quegli ambiti urbani degradati su cui intervenire. «Molte periferie costruite fra gli anni '50 e '70 hanno bisogno di una rigenerazione», spiega, mostrando una mappa della città in cui le «zone rosse» macchiano anche quartieri insospettabili come il Cittadella. Una volta definito un metodo per scegliere la zona, può partire il percorso di rigenerazione urbana, «La rigenerazione deve seguire un percorso partecipativo, che però non si riduce in qualche assemblea». E poi, no ai mega progetti da attuare in un blocco solo. «Gli interventi di rigenerazione vanno concretizzati un pezzo alla volta, in modo progressivo. Il tutto o niente non funziona». Infatti, sostiene, «la nostra città è frutto di una rigenerazione costante che va avanti da duemila anni». Altra indicazione. «Bisogna essere pronti a cambiare. Il nostro progetto è iniziato quando non esistevano la pandemia, la guerra e nemmeno il Superbonus». Una volta concluso il cantiere, il lavoro dei progettisti e dei costruttori non è finito. «È necessario monitorare gli effetti dell'intervento». Un intervento che non è un cantiere isolato, perché la sua azione avrà conseguenze sull'intera città e non solo sulle aree confinanti con la zona rigenerata. «La rigenerazione urbana è un fatto di interesse pubblico, perché tutta la città, che è un corpo unico, avrà benefici da quell'intervento. Ogni euro investito avrà effetti postivi che permetteranno all'amministrazione comunale di risparmiare soldi pubblici». Perché un'area rigenerata dovrebbe essere più sicura, più facilmente raggiungibile e più attenta ai bisogni di tutte le fasce d'età. La teoria è ottima. non resta che metterla in pratica.
Articolo di "Gazzetta di Parma" del 14/05/2022
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